Il vaccino anti-COVID ha ucciso molti giovani?

Sul web spesso si leggono affermazioni mirabolanti (quasi sempre prive di fondamento) col solo scopo di farsi pubblicità o avere dei “like”. L’argomento vaccini anti-COVID viene spesso tirato in ballo da persone che citano analisi “scientifiche” atte a dimostrare la sua pericolosità. Da quando è stato trovato il vaccino, tante persone “no vax” hanno sostenuto che nei giovani è stato registrato un eccesso di mortalità dopo la sua somministrazione. Davanti a queste affermazioni non bisogna arrabbiarsi o alzare la voce, bisogna semplicemente rispondere con dati ed analisi scientifiche. Noi abbiamo analizzato i dati provenienti dall’ISTAT e tutti i dettagli dell’analisi sono state pubblicati su una rivista scientifica (vedi in fondo il link all’articolo). Nella figura sotto (quella più in alto) sono rappresentati i decessi giornalieri di persone con meno di 30 anni: in Italia, negli ultimi 12 anni, ogni giorno muoiono in media 14 persone (in realtà il numero è leggermente calato nel corso degli anni per il calo della popolazione giovane). Il COVID è arrivato in Italia all’inizio del 2020 e i primi vaccini per la popolazione sono stati disponibili a inizio 2021: come si può vedere dal grafico sotto, relativo al periodo 2020-2022, dall’inizio del 2021 non si è registrato alcun incremento della mortalità giovanile. Intendiamoci, un vaccino è pur sempre una fonte di rischio e nessuno nasconde che alcune persone

possano aver avuto problemi di salute e arrivare in certi casi (pochissimi per fortuna) addirittura al decesso.

Un’ultima considerazione che non ha nulla a che fare con i vaccini. Nel grafico più in alto, indicato dalla freccia rossa che indica un numero di decessi molto alto (circa 60) il giorno 24 agosto 2016: non è un errore o una normale fluttuazione statistica, è l’effetto del terremoto di Amatrice.

L’articolo cui fa riferimento il testo è “A statistical model to identify excess mortality in Italy in the period 2011-2022” pubblicato sulla rivista scientifica European Physical Journal Plus (ref: Eur. Phys. J. Plus (2024) 139:348)  e su arXiV:2404.06111v1 [physics.med-ph] (visible al link https://doi.org/10.48550/arXiv.2404.06111 ).

Abbiamo le prove di un cambiamento climatico?

Uno dei più attuali argomenti alla base della nostra vita è l’eventuale cambiamento climatico. Ci sono scienziati che sostengono che l’inquinamento sta causando un pericoloso innalzamento delle temperature, altri che dicono che sono solo fluttuazioni statistiche. Qualsiasi sia la verità, ognuno di noi ha la sensazione che le stagioni siano sempre più calde e meno sopportabili, soprattutto in estate durante le ondate di calore. E’ possibile passare da una sensazione corporea a dei numeri che “certifichino” l’effetto di questo cambiamento? Abbiamo studiato il numero dei decessi giornalieri fornito dall’ISTAT per cercare di capire gli effetti di queste ondate di calore nella popolazione italiana dal 2011 al 2022 compresi. Come si vede nella figura 1, in condizioni normali, il periodo estivo è caratterizzato da un minor numero di decessi

Figura 1 Numero dei decessi giornalieri dal 2011 al 2019. Gli anni riportati in blu sulle figure sono posizionati nel periodo estivo. I picchi di calore estivo sono stati ombreggiati di arancione.

rispetto a quello invernale, pur tuttavia ogni tanto il numero dei decessi presenta dei picchi concentrati in pochi giorni. Prendiamo ad esempio la famosa estate del 2015 (quarto grafico) che fino a pochi anni fa era ritenuta una delle più calde in assoluto: durante quella estate si sono verificati 4 picchi di calore: il primo nella prima decade di giugno, il secondo nella prima settimana di luglio, il terzo attorno al 20 luglio e il quarto nella prima settimana di agosto. In perfetta corrispondenza con i picchi di calore si sono verificate degli eccessi di mortalità. Al contrario, nell’estate del 2016 non si sono registrati picchi di calore e di conseguenza nessun eccesso di mortalità. Come sono andate le cose negli ultimi anni? Nella figura 2 sono riportati il numero dei decessi giornalieri nel periodo dal 1° novembre 2019 al 31 dicembre 2022. Come si vede,

Figura 2 Numero dei decessi giornalieri dal 2020 al 2022. Gli anni riportati in blu sulle figure sono posizionati nel periodo estivo. I picchi di calore estivo sono stati ombreggiati di arancione

nelle ultime estati i picchi di calore sono stati più numerosi e di conseguenza il numero dei decessi è aumentato. Particolare l’estate del 2022 che è stata in generale molto calda (area gialla nella figura) con all’interno picchi di calore ancora più caldi (arancioni nella figura). Nella Fig. 3 sono riportati il numero dei decessi dovuti ai picchi di calore estivi: fino al 2018 vi era un andamento pressoché costante con la sola eccezione del 2015.

Figura 3 Numero dei decessi dovuti ai picchi di calore estivi.

Negli ultimi anni, invece, c’è stato un continuo aumento dei decessi a causa delle ondate di calore a dimostrazione che qualcosa sta cambiando. Da questa analisi non si può certamente dire che siamo all’interno di un cambiamento climatico, ma possiamo affermare senza ombra di dubbio che gli effetti del ripetersi di giornate torride si ripercuote su quella parte di popolazione più debole (tipicamente le persone anziane) che non regge a questi sbalzi climatici. Nell’estate del 2022, oltre ai picchi di  calore si è verificato anche un aumento dei decessi dovuti ad un’ondata di COVID che ovviamente non è stato conteggiato in questa analisi. Spesso nelle scorse estati, abbiamo riso leggendo che nei giorni più caldi le persone anziane si rifugiavano nei centri commerciali per godere del refrigerio dei condizionatori: oggi invece dobbiamo ammettere che fanno benissimo, ne va della loro vita!

L’articolo cui fa riferimento il testo è “A statistical model to identify excess mortality in Italy in the period 2011-2022” pubblicato sulla rivista scientifica European Physical Journal Plus (ref: Eur. Phys. J. Plus (2024) 139:348)  e su arXiV:2404.06111v1 [physics.med-ph] (visible al link https://doi.org/10.48550/arXiv.2404.06111 ).

 

 

 

Quante persone sono morte di COVID in Italia?

Secondo l’Organizzazione Mondiale per la Salute OMS, una persona è deceduta a causa del COVID quando il caso è clinicamente confermato e non sussiste una chiara causa di morte alternativa non correlata al virus. Da questa vaga definizione, sono ovviamente nate tante diverse interpretazioni: se una persona anni prima aveva avuto un problema di salute ed ora era deceduta col COVID, era da considerare morta a causa del virus o no? E’ chiaro che in tutto il mondo (e anche in Italia) ogni medico che ha redatto il documento di morte ha agito in base alla propria interpretazione magari spesso diversa da quella usata da un altro collega. Alcuni stati ci hanno anche giocato su questo aspetto, dichiarando morti per COVID solo le persone che in precedenza erano perfettamente sane, tenendo così il numero di decessi estremamente basso. Contare il numero di decessi in base all’interpretazione di migliaia di medici differenti può portare a numeri diversi dalla realtà. Un metodo alternativo è studiare il numero totale di decessi giornalieri avvenuti per qualsiasi causa (quindi senza far appello a nessuna interpretazione) e contare quelli in eccesso rispetto a quelli che ci si aspetta: non è semplice perché il problema è calcolare quanti decessi ci si aspetta ogni giorno.

Fig. 1 In alto il numero totale di decessi giornalieri nel periodo 1° gennaio 2011 – 31 dicembre 2022 (Le scritte che indicano l’anno sono posizionate in estate). Nel riquadro sotto è riportato il numero dei decessi giornalieri nel periodo 1° novembre 2019 – 31 dicembre 2022 con evidenziati tutti gli eccessi di morti (identificati con la lettera G e un numero sequenziale Gn), con sovrapposta (grafico grigio pieno) il numero di decessi dovuti al COVID riportato dal’ISS.

In Fig. 1 in alto, è mostrato il numero dei decessi giornalieri dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2022 forniti dall’ISTAT: alla base si vede un andamento ondulatorio in leggera crescita nel corso degli anni (descritto dalla curva blu), che mostra un maggior numero di decessi in inverno rispetto all’estate. Sopra l’andamento ondulatorio, si vedono tanti eccessi di morti (identificati dall’area gialla o blu) dovuti a cause fuori dalla normalità (influenze invernali, virus improvvisi, ondate di calore, …). Per stimare il numero dei decessi presenti in ogni picco è necessario avere una curva (da ora la chiameremo funzione) che contenga il comportamento ondulatorio in leggera crescita nel corso degli anni e che descriva tutti i picchi (sono stati 60 negli ultimi 12 anni); nella fig. 1 in alto, l’andamento globale dei decessi è descritto dalla curva rossa. Questa funzione l’abbiamo costruita e l’abbiamo adattata ai dati con un metodo che si chiama minimizzazione del χ2 (Chi quadro) ed è possibile vedere tutti i dettagli al link all’articolo (riportato alla fine di questo blog). Come si può vedere la funzione descrive molto bene l’andamento dei decessi, e, in linguaggio scientifico, questo è dimostrato da un valore del χ2 normalizzato di 2.7 su oltre 4000 gradi di libertà.

Nella fig. 1 in basso (riquadrata di rosso) è riportata lo stesso grafico di sopra ma per il periodo 1° novembre 2019 – 31 dicembre 2022. In questi 3 anni ci sono stati molti picchi di mortalità dovute a diverse cause, tra cui il COVID, influenze invernali e ondate di calore estive. Per identificare i picchi dovuti al COVID abbiamo analizzato i dati provenienti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e del Dipartimento della Protezione Civile (DPC), che contengono solo i decessi dovuti al COVID, dove però sussiste il dubbio dovuto all’interpretazione del medico; la figura ombreggiata di grigio sono il numero dei decessi riportati dall’ISS. I picchi di decessi presenti nei dati ISTAT, sono stati definiti causati dal COVID se negli stessi giorni si trovava il picco sia nei dati dell’ISS che della DPC: nella figura 2 è stato riportato lo stesso grafico di figura 1 (quella a partire dal 1° novembre 2019), dove sono stati ombreggiati di giallo i soli picchi dovuti al COVID

Fig. 2 Numero dei decessi giornalieri nel periodo 1° novembre 2019 – 31 dicembre 2022 con evidenziati in giallo gli eccessi di morti dovuti al COVID

Dalla figura 2 si vede chiaramente l’inizio della pandemia (picco identificato come G37). Questa prima ondata ha causato circa 53 mila decessi, mentre l’ISS e la DPC ne hanno stimati circa 35 mila: tale discrepanza è spiegabile con la grave emergenza sanitaria, in cui non ci fu né la possibilità di fare tamponi a persone decedute che vennero derubricate come morti non dovute al COVID, né di fornire ricoveri ospedalieri a chi ne necessitava (morti indirette).  Il COVID ha colpito soprattutto nelle stagioni fredde con 3 ondate tra l’inverno del 2020 e la primavera del 2021 ed altre 3 tra l’inverno del 2021 e la primavera 2022. In maniera meno violenta, il COVID ha colpito anche in estate, in particolare nel settembre del 2021 e nel luglio del 2022. Dall’inizio della pandemia fino al 31 dicembre 2022, il COVID ha causato in Italia 216 mila decessi (diretti ed indiretti) con un’incertezza di circa 7000 unità. La stima è superiore a quella quotata dall’ISS e dalla DPC nello stesso periodo (circa 180 mila unità), per i motivi prima descritti. Il COVID ha colpito soprattutto le persone anziane, il 95% delle persone colpite avevano un’età superiore ai 60 anni. Nonostante nella popolazione italiana in questa fascia di età, le donne siano in numero superiore agli uomini (55% contro 45%), il COVID ha ucciso maggiormente le persone di genere maschile (circa 115 mila unità) rispetto a quello femminile (circa 100 mila unità).

L’articolo cui fa riferimento il testo è “A statistical model to identify excess mortality in Italy in the period 2011-2022” pubblicato sulla rivista scientifica European Physical Journal Plus (ref: Eur. Phys. J. Plus (2024) 139:348)  e su arXiV:2404.06111v1 [physics.med-ph] (visible al link https://doi.org/10.48550/arXiv.2404.06111 ).

Lo strano andamento della mortalità giornaliera

Una domanda che probabilmente non ci siamo mai fatti è chiedersi quante persone muoiono ogni giorno in Itallia. La risposta è abbastanza semplice: in Italia in media muoiono circa 1650 persone al giorno. In realtà questo numero cresce leggermente di anno in anno a causa dell’aumento del numero delle persone anziane. Questo significa che in un anno muoiono circa 600 mila persone (se non avvengono eventi eccezionali) pari al 1% dell’intera popolazione. Un aspetto peculiare è che il numero di decessi giornalieri varia molto tra le stagioni fredde e quelle calde; recentemente abbiamo scritto un articolo (vedi sotto tutti i dettagli) utilizzando i dati  forniti dall’ISTAT nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2022. La figura mostra il numero dei decessi giornalieri in questi 12 anni. L’andamento non è piatto (a giustificare che la probabilità di decesso è

Figura 1. Numero di decessi giornalieri dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2022. Le scritte che indicano l’anno sono posizionate in estate.

uguale qualsiasi giorno dell’anno), ma presenta un aspetto ondulatorio in cui risulta evidente che si muore maggiormente in inverno rispetto all’estate. Perché? In Italia l’età media della popolazione è alta, circa 47 anni con oltre il 12% delle persone con più di 75 anni: spesso le persone anziane hanno problemi di salute che li rende più fragili e dunque meno resistenti agli agenti esterni quali freddo e influenze invernali. Diciamo che, nonostante l’enorme progresso fatto dall’uomo, la natura determina sempre il nostro ciclo vitale. In realtà l’andamento periodico è spesso modificato da grandi eccessi di morti soprattutto nel periodo invernale (è ben visibile il primo picco del COVID del marzo 2020, ma su questo torneremo in un altro blog) e da picchi estivi dovuti alle varie ondate di calore (anche su questo punto faremo un blog).

L’articolo cui fa riferimento il testo è “A statistical model to identify excess mortality in Italy in the period 2011-2022” pubblicato sulla rivista scientifica European Physical Journal Plus (ref: Eur. Phys. J. Plus (2024) 139:348)  e su arXiV:2404.06111v1 [physics.med-ph] (visible al link https://doi.org/10.48550/arXiv.2404.06111 ).

Stima del tasso di mortalità da COVID-19

In questi giorni viene discusso con enfasi e preoccupazione il problema del presunto alto valore del tasso di mortalità da Covid in Italia.

Per tasso di mortalità da Covid si intende la probabilità di morte di un contagiato, in letteratura questa quantità viene chiamata “Case Fatality Rate” o “CFR”.

Abbiamo già discusso in un precedente post come la mortalità assoluta da Covid (numero totale di morti da Covid per unità di popolazione) in Italia, sia elevata in valori assoluti, ma in realtà risulti in linea con i valori medi internazionali una volta che venga corretta per la diversa e sfavorevole distribuzione di età che caratterizza la nostra popolazione.

La Case Fatality Rate (CFR da ora in poi), è una quantità più complessa e delicata da calcolare rispetto alla mortalità assoluta. In questo post cercheremo di mettere in luce la procedura per il suo calcolo e confrontare i valori italiani con quelli delle principali nazioni europee.

Il grafico della distribuzione dei morti giornalieri da Covid si ottiene dal prodotto di tre distribuzioni (figura sottostante): la distribuzione dei Casi Positivi giornalieri moltiplicata per la distribuzione di probabilità dell’intervallo temporale tra il momento in cui si effettua il tampone e l’eventuale successivo decesso (che è responsabile del “ritardo” con cui l’andamento dei decessi si manifesta rispetto all’andamento dei casi positivi) e moltiplicata infine per il valore di CFR, che come vedremo non è costante nel tempo.


La CFR può quindi essere estratta eseguendo la procedura inversa, ossia dividendo la distribuzione dei decessi per il prodotto della distribuzione dei casi positivi con l’intervallo temporale tamponi-decessi (ttd nel seguito). Questa procedura inversa, di estrazione di una distribuzione dal prodotto di diverse componenti si chiama “unfolding”.

Mentre i casi positivi e i decessi possono essere estratti dai dati della Protezione Civile, la distribuzione di ttd deve essere calcolata in quest’altro modo, utilizzando quindi la tecnica di unfolding.

Le procedure di unfolding sono molto comuni nella fisica delle alte energie e in molte altre discipline scientifiche, pur essendo moderatamente complesse. Con queste metodologie è possibile estrarre le caratteristiche di una funzione che collega due distribuzioni note (nel nostro caso la distribuzione dei casi positivi e la distribuzione dei decessi). La sola ipotesi introdotta è che ttd  sia distribuita come una funzione gamma (ipotesi molto comune ed ampiamente utilizzata in letteratura). Con questo metodo possiamo calcolare la distribuzione di ttd per ogni singola nazione, procedura necessaria perché in linea  di principio questa distribuzione può variare da nazione a nazione. Il lettore interessato puo’ documentarsi sulle tecniche di unfolding con l’articolo di rassegna [1].

Con questi ingredienti siamo quindi in grado di estrarre l’andamento della CFR in Italia negli ultimi mesi:

La figura, in scala logaritmica, mostra chiaramente gli effetti della vaccinazione (è da notare che un vaccino “perfetto”, ugualmente efficace nell’evitare il contagio e nell’evitare i decessi ,non avrebbe effetti visibili in questo grafico), che ha inizialmente diminuito la mortalità di un fattore 5; della variante delta, che l’ha quasi raddoppiata; della variante Omicron, che l’ha infine diminuita di un fattore 3 in sole due settimane (l’andamento della CFR in SudAfrica alla comparsa della variante Omicron ci aveva permesso di prevedere in anticipo questa decrescita, come discusso in questo post). Nelle ultime settimane la CFR è in costante lenta decrescita, con valori attuali intorno al due per mille (due decessi per mille contagi riportati), il valore più basso riportato dall’inizio dell’epidemia.

A questo punto è molto istruttivo osservare cosa è successo nel Regno Unito e in Danimarca

A prima vista si potrebbe temere che una nuova variante Covid ad alta mortalità si sia diffusa nel Nord Europa negli ultimi mesi. In realtà la netta risalita visibile in UK e Danimarca, che a lungo sono state le nazioni più virtuose per qualità e quantità di testing, è dovuta alla loro recente drastica diminuzione proprio dell’attività di testing. Abbiamo già visto come la CFR sia ottenuta dal rapporto decessi/casi positivi, per cui una diminuzione dell’attività di testing, che porta ad una diminuzione dei casi positivi rilevati (sostanzialmente gli asintomatici non sono più riportati nelle statistiche) provoca un rialzo dell’ andamento di CFR anche in assenza di una aumentata mortalità.

Questi andamenti dimostrano come un corretto confronto tra diversi valori di CFR richieda una correzione per le diverse procedure di testing, che può avere effetti importanti ma che è piuttosto complicata da formalizzare in un algoritmo.

La ridotta capacità di testing è anche il principale motivo per cui la CFR in Italia all’inizio del contagio superava il 2%.

A questo punto possiamo confrontare gli andamenti italiani con le altre maggiori nazioni europee: Francia, Germania e Spagna.

I grafici di cui sopra sono piuttosto simili all’andamento italiano e non evidenziano affatto una anomalia italiana rispetto alle altre nazioni europee.

Da sottolineare che andrebbe applicata una terza importante correzione al calcolo di CFR: quella per la diversa distribuzione di età della popolazione italiana, soprattutto rispetto a Francia e Spagna, che sono nazioni significativamente più “giovani”, in media, della nostra.

CONCLUSIONI

Il calcolo della mortalità da Covid, o CFR, è complesso e delicato. Al meglio delle nostre competenze i valori che calcoliamo non mostrano anomalie nell’andamento, nè evidenziano significative discrepanze dei valori italiani da quelli delle altre nazioni europee.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] Schmitt, A., Data Unfolding Methods in High Energy Physics, https://doi.org/10.1051/epjconf/201713711008

Attenzione, la “discesa” sembra finita

L’ondata Omicron è stata importante sia per il numero di contagiati (circa 8 milioni di persone), che per la rapidità di crescita che è passata da circa 20 mila nuovi positivi al giorno di metà dicembre, agli oltre 200 mila di inizio gennaio.

Fortunatamente, in maniera quasi altrettanto veloce, verso la fine di gennaio è iniziata una decrescita che ci aveva fatto sperare che quest’ondata si sarebbe conclusa verso la fine di febbraio. Purtroppo ad un certo punto il meccanismo di discesa si è inceppato e la decrescita è stata sempre più lenta. Qui sotto vedete il grafico dei positivi giornalieri con due curve sovrapposte: quella gialla è una derivata della funzione Gompertz, mentre quella blu è la media mobile (su una settimana) dei conteggi. Abbiamo discusso in precedenti post (primo post, secondo post) come la funzione Gompertz sia in grado di descrivere precisamente la fase di discesa della curva dei contagi fino all’insorgere di nuove ondate.

La curva gialla è stata ottenuta usando i dati fino al 22 febbraio, dopo di che è stata estrapolata. Come si vede dalla figura (nella zona evidenziata in arancione), in queste 2 ultime settimane l’andamento dei casi ha smesso di seguire la fase di discesa e mostra i sintomi di una ricrescita.

Questa inversione di tendenza è molto visibile anche dal grafico  dell’indice di contagio Rt visibile qui sotto (metodo Covidstat, ripreso dalla pagina dedicata del nostro sito).

Rt è sceso sotto il valore 1 il 24 gennaio ed ha proseguito una veloce discesa fino alla metà di febbraio raggiungendo il valore minimo 0.69, per poi però iniziare a salire e sfiorare 0.9 in questi giorni. E’ probabile che nei prossimi giorni Rt continui a salire anche oltre il valore 1 e di conseguenza i positivi giornalieri aumenteranno. Il motivo di questa crescita non è chiaro e potrebbe non essere unico: un contributo potrebbe derivare dal basso numero di bambini vaccinati nella fascia 5-12 anni (circa il 35%), oppure dal calo di misure restrittive, o dalle frontiere più aperte, … tante possibili concause.

La cosa importante è accorgersi quanto prima (e questo è il motivo fondamentale di fare l’analisi dei dati) che stiamo entrando in un’altra fase e dunque ci dobbiamo preparare a fronteggiarla con gli interventi opportuni (distanziamento, mascherine, vaccini, …). Terminiamo con una nota di ottimismo: l’arrivo della primavera porterà temperature più alte e ci spingerà a passare più tempo in luoghi aperti dove minore è la probabilità di contagio.

Una stima della mortalità della variante Omicron dai dati del Sud Africa

Figura 1: Andamento dei contagi (curva blu, scala verticale di sinistra) e dei decessi (curva arancione, scala verticale di destra) in Sud Africa. Le curve sono medie mobili a 7 giorni, aggiornate fino al 3/1/2022. I contagi sono riportati con un ritardo di 13 giorni, come spiegato nel testo. La zona del picco dei contagi causato dalla variante Omicron è evidenziata in arancione

Il Sud Africa è il paese dove è stata sequenziata per la prima volta la variante Omicron ed anche il primo paese ad essere stato investito dall’ondata di casi generati da questa variante.

È quindi di grande interesse seguire l’andamento del contagio in questo paese per almeno due ottimi motivi:

  • ci permette di capire come si sviluppa l’ondata della variante Omicron
  • ci permette di avere una stima della mortalità di questa variante.

Va comunque considerato che le condizioni del Sud Africa riguardo al contagio sono profondamente diverse da quelle italiane: in Sud Africa sono effettuati circa 1/7 dei tamponi effettuati in Italia (fonte worldometers.info), ad oggi ha vaccinato il 32% della popolazione a fronte del nostro 80% (fonte OurWorldinData) ed ha una popolazione nettamente più giovane: età media di 27.6 anni a fronte nella nostra età media di 47.3 anni (fonte ONU, Population Division).

In Figura 1 riportiamo l’andamento dei casi positivi e dei decessi in Sud Africa. Ricordiamo che pubblichiamo i dati quotidiani aggiornati dei casi positivi nel mondo e dei decessi nel nostro sito, utilizzando i dati di JHU.

I casi positivi sono ritardati di 13 giorni, che è la nostra miglior stima del ritardo dei decessi rispetto ai casi positivi in Sud Africa. Il calcolo del ritardo è un argomento piuttosto delicato e lo discutiamo in una nota in fondo al post.

Ci sono due aspetti che riteniamo incoraggianti dall’andamento del contagio in Sud Africa:

  • Il picco del contagio è molto pronunciato, ma anche molto stretto, vale a dire che la crescita esponenziale della variante Omicron è molto veloce e seguita da una decrescita altrettanto veloce
  • L’ondata dei decessi dovrebbe ormai essere apparsa, ma al momento è  quasi del tutto assente. Nei due precedenti picchi di gennaio 2021 e luglio-agosto 2021 l’ondata dei decessi era in buon accordo con i casi positivi ritardati.

Dividendo il numero dei decessi per il numero dei casi positivi opportunamente ritardati si ottiene la “Case Fatality Rate”, ovvero la probabilità di decesso di un contagiato.

La Case Fatality Rate è una quantità piuttosto instabile perché dipende fortemente dall’efficacia del tracing con i tamponi, che evidentemente diminuisce al picco del contagio (causando di solito un apparente aumento della Case Fatality Rate all’aumentare dei contagi).

In Figura 2 è riportato il calcolo della Case Fatality Rate in Sud Africa, ottenuta con una semplice divisione delle due curve di Figura 1 (decessi/casi positivi ritardati di 13 giorni).

Figura 2: Case Fatality Rate (decessi su casi positivi) calcolata per il Sud Africa. In corrispondenza del picco Omicron di dicembre (zona evidenziata in arancione) la Case Fatality Rate diminuisce visibilmente.

La Case Fatality Rate in corrispondenza del picco del contagio è in forte decrescita, attualmente è  circa lo 0.4%, a fronte di valori medi precedenti superiori al 3%.

La spiegazione più semplice e più ottimistica è che la variante Omicron causi molti meno esiti gravi rispetto alle altre varianti. Un’altra possibilità potrebbe essere che il ritardo dei decessi sia aumentato di molto, e questo lo potremo verificare nei prossimi giorni.

Nota: intervallo temporale fra comparsa sintomi e decesso

L’intervallo temporale fra comparsa sintomi e decessi è oggetto di molte pubblicazioni in letteratura. Uno degli articoli più citati (qui la referenza) calcola l’intervallo studiando appena 24 casi di Covid all’inizio del contagio in Cina, interpolando una curva di ritardo parametrizzata come una distribuzione Gamma con una media μ=18.8 giorni e una dispersione  σ=8.5 giorni. Una stima più robusta di questo intervallo è calcolata per i casi italiani in questa referenza dove viene interpolata una distribuzione binomiale negativa con media  μ=16.1 giorni e una dispersione  σ=1.64 giorni. Una meta-analisi di 11 stime  pubblicate in letteratura valuta un intervallo di 16.7 giorni in questa referenza.

Queste stime sono comunque calcolate dal giorno di comparsa sintomi al giorno del decesso, mentre i dati del Sud Africa a nostra disposizione valutano la data della notifica del tampone positivo e la data della notifica del decesso. Per questo motivo abbiamo ricavato la nostra stima del ritardo confrontando un fit ai dati dei nuovi casi utilizzando distribuzioni di Gompertz con un analogo fit ai dati dei decessi. La stima di 13 giorni è la media delle differenze temporali delle posizioni dei picchi delle curve interpolate.

Sull’efficacia dei vaccini

In questo post riprendiamo un’analisi che ci è stata suggerita dal collega Prof. C. Sciacca.

L’ISS pubblica informazioni estese e dettagliate riguardo allo stato dei vaccini nei bollettini settimanali di sorveglianza integrata, disponibili in www.epicentro.iss.it .

I dati dei bollettini vengono estratti e resi disponibili in formato csv dal repository github.com/maxdevblock. Gli autori del repository, a loro volta, sviluppano analisi interessanti riguardo allo stato dei vaccini. In particolare in www.epidata.it/Italia/Vaccini_Efficacia è discussa un’analisi simile a quella che presentiamo in questo blog.

L’indicatore più efficace per stimare gli effetti dei vaccini è il rischio relativo, ovvero il rapporto della probabilità di contrarre il virus dei vaccinati rispetto a coloro che non sono ancora vaccinati, che, in statistica, vengono definiti un campione di controllo. Otteniamo questo rapporto dividendo fra di loro l’incidenza dei casi dei vaccinati rispetto all’incidenza nel campione dei non vaccinati, dove l’incidenza è il numero di casi per unità di popolazione.

Per come è definito, il rischio relativo ha il vantaggio di non dipendere dal fatto che il numero di persone vaccinate è di gran lunga maggiore di quelle non vaccinate, e di non dipendere dall’andamento del contagio (in prima approssimazione,  il rischio relativo non aumenta all’aumentare dei casi registrati).

I dati dell’ISS permettono di calcolare questo rapporto in quattro fasce di età: 12-39 anni, 40-59, 60-79 e oltre 80 anni (80+) e per quattro diversi esiti del contagio: tampone positivo, ospedalizzazione, terapia intensiva e decesso. Per un chiarimento su come ricaviamo questi dati dai bollettini dell’ISS, si veda la nota in coda a questo post.

Figura 1: Rischio relativo (in percentuale) di contrarre il contagio del campione dei vaccinati rispetto ai non vaccinati in funzione del tempo, per la fascia di età degli ultra-ottantenni. Le linee continue si riferiscono ai vaccinati con 2 dosi, quelle tratteggiate ai vaccinati con 3 dosi. In basso è riportato l’inverso della stessa quantità, ovvero il rischio di un non vaccinato rispetto ad un vaccinato. Ulteriori spiegazioni su questi grafici sono riportate  nella nota in fondo a questo post. 

L’andamento temporale del rischio relativo è riportato in Figura 1 per la fascia di età degli ultraottantenni (80+), sia per chi ha effettuato due dosi del vaccino (linee continue) che per chi ne ha effettuate tre (linee tratteggiate; la terza dose è stata somministrata a partire da novembre 2021). In Figura 2 riportiamo l’andamento del rischio relativo per le altre tre fasce di età. Nei campioni sotto gli 80 anni, fortunatamente, il numero mensile di ricoveri in terapia intensiva e dei decessi è così limitato da rendere statisticamente non significativa questa analisi, per cui non sono riportati.

Figura 2: Rischio relativo calcolato per le fasce di età 12-39 anni, 40-59 anni e 60-79 anni.

Da questi grafici si possono trarre informazioni interessanti, molte delle quali già riportate dall’ISS:

  • La protezione del vaccino è più efficace per gli esiti gravi della malattia.
  • La terza dose migliora di molto la protezione dal contagio, ad esempio un quarantenne No-Vax ha un rischio 12 volte maggiore di un vaccinato con tre dosi di essere ricoverato in ospedale per Covid. Per un ultraottantenne lo stesso rischio aumenta di 42 volte.
  • L’efficacia della protezione tende a peggiorare nel tempo. In queste curve la perdita di efficacia non è molto marcata perché nel campione dei vaccinati continuano ad entrare nuove persone, e continuano ad uscire coloro che effettuano la terza dose. L’andamento del campione non è quindi rappresentativo dell’andamento dell’efficacia del vaccino nella singola persona nel tempo.
  • Le curve di probabilità delle terze dosi mostrano chiaramente che sono necessarie due settimane per ottenere la protezione completa dal vaccino. Questo effetto non è tanto visibile nel campione delle seconde dosi perchè alla data di inizio del grafico (14 luglio) le seconde dosi erano già iniziate da quasi sei mesi, e quindi nel campione non c’erano solamente vaccinati da pochi giorni (qui l’andamento delle dosi giornaliere del vaccino come riportato dal nostro sito).
  • Con grafici di questo, tipo sarà possibile verificare l’efficacia dei vaccini contro la variante Omicron.

Infine, in Figura 3 sono riportate, in funzione del tempo, le incidenze (in unità di casi mensili per milione di abitanti) per i tamponi positivi, le ospedalizzazioni, le terapie intensive e i decessi calcolate per i non vaccinati e per chi ha avuto una, due o tre dosi, ottenute sommando assieme tutte le fasce di età

Figura 3: Incidenza, in unità di casi rilevati in 30 giorni per 1 milione di abitanti per non vaccinati e vaccinati con 1, 2 e 3 dosi nei campioni di Tamponi positivi, Ospedalizzati, ingressi in Terapie Intensive e Decessi.

Nota: I dati dei bollettini dell’ISS.

I bollettini dell’ISS si succedono a cadenza settimanale, ma riportano i dati complessivi degli ultimi 30 giorni. I dati degli ultimi 15 giorni raccolti non sono consolidati, per cui variano nei bollettini successivi. Questo rende impossibile estrarre i dati settimanali dai bollettini ISS, per cui i dati che noi mostriamo sono sommati su 30 giorni e riportati al 15°  giorno dell’intervallo. Come conseguenza, i singoli punti sono correlati fra di loro (due dati successivi hanno in comune 23 giorni). Va anche notato che a causa del consolidamento dei dati, i totali complessivi (somme dei casi su tutto l’arco temporale) riportati in ogni bollettino non corrispondono alla somma dei dati mensili riportati nei bollettini precedenti.

Nello stesso bollettino settimanale, i dati dei positivi, ospedalizzati, terapie intensive e decessi sono calcolati in tre intervalli temporali diversi. I positivi sono calcolati nei 30 giorni che terminano alla data nominale del bollettino. Ospedalizzati e terapie intensive sono calcolati in un intervallo di 30 giorni che termina 14 giorni prima della data nominale (7 giorni prima nei bollettini dal 14 luglio al 23 novembre); i decessi, infine, sono calcolati in un intervallo che termina 21 giorni prima della data nominale. Nei nostri grafici riportiamo tutti i campioni con le date corrette.

Anche le normalizzazioni alla popolazione dei vaccinati, necessarie per un corretto calcolo delle incidenze, sono calcolate con i valori del corretto periodo per ogni campione.

Per quanto riguarda il conteggio di ospedalizzati, terapie intensive e decessi, riportiamo la nota dell’ISS: “Ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi qui riportati riferiscono al periodo della diagnosi per tener conto del tempo necessario all’aggravamento dopo la diagnosi e del ritardo di notifica”. Va notato infine che qui le ospedalizzazioni sono gli ingressi in ospedale, non il totale delle persone ricoverate come riportato nei dati della protezione civile.

Per ulteriori chiarimenti sui dati ISS, si veda la nostra pagina web.

I dati dell’ISS in nostro possesso, riportati settimanalmente nel nostro sito web, non contengono le informazioni dello stato vaccinale nei vari casi.

Definita la capienza massima di cinema, teatri e stadi

Pochi giorni fa è stata ridefinita la capienza massima per cinema e teatri all’80% e per gli stadi al 75%. Sono numeri che lasciano perplessi, ma il problema è che a meravigliarsi è la matematica. Lo scopo è chiarissimo: far ripartire le attività cercando comunque di proteggersi dal contagio; il problema è che per combattere in maniera seria il covid è necessario proteggere tutte le persone allo stesso modo. Riempire teatri e cinema all’80% significa occupare 4 posti e tenerne 1 libero.

Considerando le persone vicine come quelle alla propria destra, sinistra, davanti e dietro, si vede (1° figura) che la metà delle persone ha 4 persone vicine (nessun distanziamento), mentre l’altra metà ne ha 2 vicine (“distanziamento parziale”). La situazione non cambia considerando i soli posti a destra e sinistra (nell’ipotesi di un cinema o teatro con file molto distanti tra loro): ci saranno la metà delle persone con posti occupati a destra e sinistra (nessun distanziamento) e l’altra metà con un solo posto occupato (“distanziamento parziale”). La situazione è più fortunata per gli spettatori seduti ai bordi di ogni fila che hanno sempre un lato libero. Comunque, in qualsiasi modo disponiate il 20% di posti vuoti, non troverete un risultato migliore. Se si vuole distanziare tutte le persone allo stesso modo, la matematica non ammette mezze misure e la capienza deve essere inferiore o al massimo uguale al 50%.

Nella 2° figura, la struttura è riempita al 50% e ogni persona ha vicino a se un posto libero (sia che si consideri solo le file o anche le colonne). Per gli stadi il discorso è ancora peggiore, riempire al 75% significa occupare 3 posti e lasciarne libero 1 e anche in questo caso non ci sarà nessun spettatore distanziato completamente dagli altri. Distanziare in maniera uguale le persone significa ridurre la capienza di un fattore 2, 4, 8 … (cioè ridurre i posti al 50%, 25%, 12,5% …) a seconda di quanto si vuole allontanare le persone tra loro, mentre in questo caso di è deciso di ridurre di 1/4 (cioè al 75%) e 1/5 (all’80%) che è sicuramente utile per far ripartire un settore, ma poco utile come contromisura per il covid.

Concludiamo: questa volta il legislatore ha voluto proteggere solo su base statistica e non tutta la popolazione, a questo punto non ci resta che andare a qualche spettacolo e sperare di essere vicino ad uno dei posti liberi, oppure, piccolo consiglio, andate un po’ in anticipo e occupate i posti laterali!!!

 

“CovidStat va all’Istituto Superiore di Sanità”

Alla fine di marzo 2021 è stato siglato un accordo tra l’INFN e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che consente all’INFN di utilizzare i dati dell’ISS per analisi statistiche. Queste informazioni sono di proprietà del ISS e l’accordo non prevede la possibilità da parte dell’INFN di rendere “aperti” questi dati.

Il dataset, comunque soggetto ad alcune limitazioni relative alla privacy, viene aggiornato con cadenza settimanale e contiene informazioni aggiuntive rispetto a quelle fornite dalla Protezione Civile. Dal 21 aprile 2021 sono cominciati ad arrivare i dati ed abbiamo iniziato ad analizzarli, realizzando i grafici che, per problemi di privacy, sono stati resi disponibili nel sito solo dal 17 luglio 2021: https://covid19.infn.it/iss/.

Ma cosa contengono questi grafici?
Oltre ad essere più precisi in termini di datazione dei casi (le date non sono affette dal ritardo di notifica), contengono informazioni aggiuntive relative all’età, al genere e al personale sanitario.

Vediamo, per esempio, i nuovi casi giornalieri per operatori sanitari e le altre categorie persone:

Ma allora i vaccini funzionano? Caspita se funzionano !!
Il calo dei casi sintomatici per gli operatori sanitari durante i primi mesi del 2021 dimostra l’effetto della campagna di vaccinazione.

E questo si riflette anche sul numero di decessi degli ultra-ottantenni, come è mostrato chiaramente in figura:

 

Ma si ammalano di più le femmine o i maschi?
Non abbiamo notato alcuna differenza perchè la leggera prevalenza dei casi sintomatici delle femmine (2 132 779 casi) rispetto ai casi dei maschi (2 042 281) è esattamente compensata dal maggior numero di femmine nella popolazione italiana (51%, corrispondente a 30 591 392 su 59 641 488 individui). Il rapporto di casi positivi, infatti, normalizzato alla corrispondente popolazione viene uguale al 7% in entrambi i generi.
E in questa figura viene mostrata la distribuzione per età dei casi positivi:

Cosa possiamo dire dell’età alla quale si contrae la malattia?
Vi è una generale tendenza alla diminuzione dell’età media degli ammalati per COVID-19. Questo significa che le persone più anziane, che sono la percentuale più alta di persone vaccinate, sviluppano sempre di meno la malattia. Al contrario dei giovani che sono ora la categoria più esposta al rischio di contagio, anche a causa della loro vita di relazione sociale più intensa.
In questo grafico è riportato l’andamento temporale dell’età mediana e gli intervalli corrispondenti ai quantili al 68% e 95% dei casi positivi:

Ad esempio, il giorno 26 giugno 2021 il valore della mediana dell’età dei casi positivi era 35 anni.

Fino a che livello di dettaglio arrivano i dati?
I dati dei positivi, ricoveri, terapia intensiva e deceduti  sono disponibili fino al livello delle province. Di queste informazioni, che sono affette da una maggior fluttuazione statistica rispetto alle regioni e al dato nazionale, viene riportato solo l’andamento della media mobile a 7 giorni e non il dato giornaliero. La scelta di utilizzare le distribuzioni mediate è motivata anche dal fatto di rispettare le limitazioni relative alla privacy. Nella figura sottostante viene visualizzata la distribuzione dei deceduti giornalieri per la provincia di Milano:

e, per paragone, la stessa distribuzione per la provincia di Napoli:

È evidente il diverso impatto che hanno avuto la prima e la seconda ondata della pandemia nelle due province considerate.

Ma perché è stato condotto questo tipo di analisi, non era sufficiente il bollettino del ISS?
Le analisi compiute dal gruppo CovidStat (sui dati dell’ISS) permettono di avere una visione diversa e complementare rispetto a quelle compiute dal ISS. L’ISS produce un bollettino settimanale (reperibile nel sito https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/) dove sono analizzati diversi aspetti epidemiologici e medici della pandemia dovuta al Covid-19. Nel nostro sito, invece, viene compiuta una analisi che è di tipo statistico e vengono resi disponibili i grafici, dove la statistica lo consente, per tutte le regioni e province. Per questo i due approcci sono complementari. Con l’aggiornamento settimanale, inoltre, vengono ricalcolate e graficate tutte le quantita` di tutte le province e di tutte le regioni.

In conclusione, in questo blog vi abbiamo commentato alcuni grafici, ma più che con immagini statiche vi invitiamo a visitare il nostro sito che offre la possibilità di avere maggiori informazioni interattive.